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Posts Tagged ‘USA’

Dagli Usa uno spunto per pensare: siamo ancora tifosi o già consumatori?

Posted by thepeoplesgame su 8 novembre 2010

Fa in effetti abbastanza strano che qualche spunto di riflessione su cosa significhi oggi essere tifosi di calcio arrivi dal soccer statunitense, tramite l’articolo “Club, Community and Consumerism: What Do We Support?” pubblicato da PitchInvasion.net.

Nel 2010 la MLS (Major League Soccer) ha finalmente ottenuto un profitto, dopo dieci anni in perdita e nonostante la crisi. Inoltre, a partire dal 2005 ogni hanno si sono aggiunte nuove squadre. Ma i tifosi e la comunità sono visti sempre meno come stakeholders ed il concetto ideale di club sta decadendo velocemente. “La connessione con il club locale sarà presto misurata solamente in termini di dollari e tempo spesi per i suoi prodotti e servizi” è l’inquietante previsione. Anche le proteste di gruppi di tifosi di Seattle e Toronto, che pure hanno avuto risonanza sui media, sembrano più lamentele di clienti insoddisfatti. Alla base c’è il prezzo pagato per l’abbonamento, tropo alto per lo spettacolo a cui si è poi assistito dagli spalti. Entrambe le società hanno comunque promesso politiche diverse e prezzi più bassi.

Ci si chiede, quindi, e non è certo una novità: siamo tifosi o consumatori? E, in ultimo, c’è o non c’è un club?

L’articolo riprende la definizione tradizionale condivisa da squadre e sport diversi:

un club è una organizzazione sportiva in cui la comunità investe i propri sforzi per un obiettivo comune.  Nel calcio, significa una squadra che ha proprietari locali ed è gestita dalle stesse persone che partecipano e seguono i progressi del club. A chi investe è dato il diritto di partecipare alla vita del club e di eleggere i dirigenti che lo gestiscono quotidianamente. Il club ripaga poi questi investimenti tramite divertimento e valore.

Tornando all’interrogativo di partenza, si parla di un senso verticale e di uno orizzontale.

In senso verticale, la maggior parte dei club sono società di capitali che aspirano ad un profitto e quindi vedono i tifosi come clienti da spremere vendendo loro prodotti e servizi, a cominciare dalle partite. In senso orizzontale, i club sono istituzioni culturali, a prescindere dalla struttura proprietaria, rappresentano interessi collettivi, aggregano i tifosi e da loro non ci si può separare. Sia in senso verticale che orizzontale, chiaramente, essere tifosi è ben diverso dall’essere clienti. Per restare nel campo dello spettacolo, a cui si vuole ricondurre il calcio: una cosa è il legame con il proprio club e un’altra quello con un cinema (verticale), una cosa il rapporto con gli altri tifosi, un’altra quello con gli altri spettatori di un film.

Si deve accettare, conclude l’articolo, che club diversi offrono possibilità diverse di essere tifosi: sostenere il Manchester United è molto più legato agli aspetti commerciali di quanto non lo sia tifare per il Football Club United of Manchester. Ma la passione per una squadra è ancora qualcosa di molto diverso dall’usare una carta di credito, per fortuna. Allo stesso tempo, è anche qualcosa da tutelare e da difendere, per evitare che lo diventi.

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Azionariato popolare si può… perfino negli USA!

Posted by thepeoplesgame su 30 ottobre 2009

Azionariato popolare… sembra una chimera in Italia eppure ha funzionato, e con successo, addirittura negli USA, forse l’ultimo posto dove si potrebbe pensare.

Uno dei casi più importanti al mondo di club di proprietà dei tifosi è quello dei Green Bay Packers, una squadra di football americano con un assetto proprietario unico oltreoceano. In modo quasi incredibile, l’azionariato diffuso e la struttura non profit hanno resistito non solo al modello sportivo statunitense, basato sugli aspetti più spettacolari e commerciali, ma anche agli estremi sviluppi che esso ha conosciuto negli ultimi anni. Non solo, i Packers sono la squadra che ha vinto più campionati nella storia della NFL, ben dodici, l’unica ad aver vinto, e per ben due volte, tre campionati consecutivi; hanno vinto i primi due Superbowls, nel 1966 e 1967, oltre ad uno più recente nel 1997 e sono la seconda squadra ad aver disputato più finali (solo i Giants hanno giocato per più titoli). Queste caratteristiche ne fanno un caso di successo, sia sportivo che istituzionale, davvero unico nello sport statunitense ed una case history da studiare.

Green Bay, patria dei Packers, è una città del Wisconsin, nel Midwest, zona dalle profonde tradizioni indiane, la cui area metropolitana raggiunge i 200.000 abitanti. La città, detta Titletown per il numero di campionati vinti dalla squadra, ne conta circa 100.000, ed è di gran lunga la più piccola negli Stati Uniti ad essere sede di una franchigia NFL. L’economia della regione è basata sull’industria del legno e della carta, mentre negli ultimi anni l’area si è sviluppata anche come importante centro medico, con tre grandi ospedali, e come principale luogo di confezionamento della carne ad est del fiume Mississippi.

Il club venne fondato nel 1919 da Curly Lambeau, impiegato della della Indian Packing Company che aveva fondato il club, che ne fu il coach dal 1921 al 1949. I Greeb Bay Packers hanno avuto ben tre proprietari nei primi quattro anni di attività, dal 1919 al 1922. Dal primo, la Indian Packing Company, deriva il nome di Packers. Nel 1921 l’ impresa e tutti i suoi assets, compreso il club, furono acquistati da un’altra ditta del settore ed il club venne ammesso a partecipare all’antenata della NFL. Quando la società era già vicina alla bancarotta, la licenza fu revocata per l’uso illegale di alcuni giocatori, per poi essere restituita, con Curly Lambeau come proprietario.

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